Un tesoretto di sale e natura

L’Unione Sarda

sabato 27 luglio 2013

Dopo il crollo industriale svolta nell’impianto che ospita migliaia di uccelli
Ora si punterà sui granelli alimentari per l’estero

SANTA GILLA Il tesoretto bianco, splendente come neve, brilla sotto un sole a quasi 40 gradi nei piazzali della salina, le aie, come le chiamano alla Conti Vecchi, al centro dello stagno di Santa Gilla. Sembra un mondo d’acqua ai margini della città, lontano da tutto. Una terra di confine, popolata da migliaia di fenicotteri e dai loro pulcini nati al riparo degli argini. Tutt’intorno ciminiere di fabbriche decotte, illusioni sepolte di un futuro chimico che ha ferito il territorio, un passato non lontano di colera e vibrioni. Giusto quarant’anni fa il primo caso: un pescatore ricoverato agli Infettivi di Is Mirrionis, aveva raccolto e mangiato (e venduto) arselle dello stagno, le più prelibate, piatto popolare e immancabile sulle tavole cagliaritane. Improvvisamente, da un giorno all’altro, il capoluogo e dintorni diventarono area contaminata, da allarme sanitario.
ACQUA SOLE VENTO Si può dire che qui sia passato ogni genere di ciclone, a cominciare dai Pisani che distrussero la capitale giudicale di Santa Igia, nome che con le altre varianti – Gilla, Zilia, Gilia, Ilia – forse riporta a Cecilia. Oggi quelle candide montagne di sale, purissimo e ricercato, che svettano in uno scenario di grande suggestione, rappresentano una piccola vendetta della storia. Questa industria nata quasi un secolo fa, tutta naturale, che sembrava destinata a scomparire, è una delle poche sopravvissute al cataclisma che ha investito Macchiareddu. Ha un motore che più ecosostenibile non si può: al 95 per cento la fanno camminare l’acqua di mare, il sole e il vento (l’ideale è un’alternanza da sud e da nord, meglio se con una leggera prevalenza di maestrale). Poi c’è la sapienza dell’uomo e quel poco di energia elettrica necessaria per azionare le stazioni di pompaggio. Tutto qui, verrebbe da dire. Una ricetta semplice che nel resto d’Italia, ma anche in alcuni impianti francesi e spagnoli spesso si traduce in stabilimenti termali e in accoglienza turistica.
SVOLTA NELLA SALINA Ora la salina Luigi Conti Vecchi (proprietà Eni) – 27 dipendenti, 60 con stagionali e indotto, produzione di 350 mila tonnellate l’anno, la seconda in Italia dopo Margherita di Savoia, in Puglia – è alla vigilia di una nuova svolta. Dai tempi della Rumianca di Nino Rovelli (che la trasferì all’ente idrocarburi negli anni Ottanta) la produzione si concentra soprattutto sul sale da elettrolisi e industriale, con una modesta percentuale riservata ai granelli bianchi per uso alimentare. Ora – causa prima il tracollo industriale – si punterà con decisione sul sale da cucina, quello più raffinato, da destinare soprattutto al mercato estero. Segno dei tempi di crisi. Ma segno anche che quel prodotto povero e prezioso, che ha segnato la storia dell’uomo, ha un mercato senza confini, in particolare il sale marino sardo, ricercato per la sua qualità, per le caratteristiche di dolcezza che lo rendono particolarmente apprezzato fin dall’Ottocento. Lo sanno bene gli industriali sardi – tre a Cagliari e hinterland, uno a Sassari -, che nonostante la chiusura dello storico impianto del Poetto oltre vent’anni fa, continuano a raffinare e a vendere il sale estratto proprio a Santa Gilla (continua a produrre anche la piccola salina di Sant’Antioco, in mano alla siciliana Ati). Da anni, periodicamente, girano voci di vendita da parte dell’Eni, ma per il momento a Macchiareddu non c’è aria di cessione dell’azienda.
UNA VISITA STORICA Nei giorni scorsi le porte dei duemilasettecento ettari di caselle salanti e bacini evaporanti della salina Conti Vecchi si sono aperte per una visita dal sapore quasi storico, sollecitata alla direzione dall’Associazione per il parco di Molentargius e riservata a un gruppo ristretto di cronisti. Rigorose procedure per gli ingressi, «la sicurezza l’Eni la mette al primo posto», dicono Graziano Manca, capo del personale, e Vincenzo Lecca, responsabile della produzione, prodighi di informazioni sul ciclo produttivo, «però niente dichiarazioni, scusateci ma è la nostra regola».
Non c’è bisogno di parole per ammirare lo straordinario spettacolo della salina, fondata nel 1929 (la produzione cominciò due anni dopo) da Luigi Conti Vecchi, direttore delle Ferrovie Reali della Sardegna. Una risorsa produttiva ma anche un’oasi naturalistica di rilievo internazionale tra Cagliari, Assemini, Capoterra, Elmas. Il 2013 è un anno eccezionale per la nidificazione di almeno diecimila coppie di genti arrubia a Molentargius e a Santa Gilla. Questo è un impianto industriale ma la cura che l’azienda mette nell’ambiente è da ammirare: non c’è dubbio, assomiglia più a un grande parco d’acqua. Stando al centro della salina lo sguardo spazia a 360 gradi: Cagliari con il Castello e i suoi bastioni, il mare, Monte Arcosu, Monte Nieddu, le creste del Lattias.
IL BIANCO E IL ROSSO E poi le montagne di sale: quanta nostalgia per quelle del Poetto, con la loro scomparsa sembra sia andata in archivio anche una storia di secoli, quando contadini e carcerati andavano a tirai sali a piedi nudi con picco e pala. Nelle prossime settimane il rosso delle caselle salanti raggiungerà tonalità ancora più accese, con il maestrale lo spettacolo è da non perdere: il periodo della coltivazione si concluderà in agosto, poi da settembre a novembre la raccolta del sale. «C’è un’attività produttiva in corso eppure quanta cura nell’ambiente – osserva Vincenzo Tiana, presidente dell’Associazione per il parco – una simbiosi da apprezzare, che prefigura quello che potrebbe essere il futuro di Molentargius quando saranno ripristinate le saline». Tiana vede in prospettiva un grande parco delle zone umide dell’area cagliaritana, «inoltre con la produzione del sale si può rendere autosufficiente il sistema ambientale».
SALE E NATURA Qui si produce natura. Non solo un ricercato sale marino. Tra queste 270 caselle si snoda uno straordinario percorso ambientale, storico e industriale. Migliaia di fenicotteri popolano i bacini, trovano risorse alimentari, hanno messo in piedi l’asilo, come lo chiama l’ornitologo Sergio Nissardi che ha preparato vicino alla stazione di Pischèra il recinto per l’inanellamento dei pulli, i nuovi nati che in questi giorni provano le tecniche di volo. Nella salina ci si sente autorizzati a sognare. Si ammira questa ricchezza, si guarda lo sfascio tutt’intorno, non solo industriale (questo era uno degli stagni più produttivi d’Italia, e ora?) e ci si chiede perché le aree umide, Molentargius e le sue saline compresi, non vengano valorizzate adeguatamente? Ci sono il sale, le acque madri, il cloruro di magnesio così prezioso per i centri di talassoterapia. In tutto il mondo, resort e centri benessere inaugurano aree per respirare l’aria salina. Il successo è strepitoso, da noi sembra fantascienza. Perché nella salina di Margherita di Savoia c’è un hotel (convenzionato Asl) che offre cure a base di sali marini? Da queste parti sarebbe bello non sprecare altre occasioni. Quei granelli bianchi sono una risorsa non solo in cucina.

Lello Caravano